Lettera dalle famiglie di Santi Apostoli dopo sette mesi di vita sotto il porticato di una chiesa
Bene ..ma non ancora benissimo: ora non bisogna mollare!
Evitando la narrazione della riuscita manifestazione di sabato 16 dicembre, vogliamo entrare subito nel merito ed esprimere tutta la nostra fermezza nel proseguire un percorso che ci può portare lontano. Non sarà un ragionamento di “bandiera” quello che vogliamo fare, bensì comprendere fino in fondo le opportunità che ci offre il processo che ha innescato la mobilitazione meticcia dello scorso fine settimana. Intanto una questione davanti alle altre, il protagonismo delle lotte e di una composizione sociale dove i migranti sono in prima fila è stato il valore indiscutibile che si è immediatamente posto in evidenza. La volontà di stare insieme fuori e oltre le dinamiche di appartenenza si è vista ancora in forma latente, ma si è vista. E questo è un indizio sul quale avviare subito una riflessione seria. Capire quindi se si prosegue in questa direzione o si produce una conta che punta a riportare il fiume, che non è ancora in piena, dentro alvei più rassicuranti.
Noi siamo per l’esondazione ed è per questo che non intendiamo mollare. La guerra ai poveri azionata dal ministro Minniti va fermata, ribaltata e sconfitta. Temiamo che ancora una volta, di fronte ad una pur timida insorgenza sociale sia la scure aggressiva l’unica risposta della controparte, come accadde con l’infame articolo 5 del ministro Lupi, una vera e propria dichiarazione di guerra ai movimenti per il diritto all’abitare in concerto con le misure giudiziarie contro l’attivismo sociale messe in campo da diverse procure. Anche questa volta misureremo il governo e ci dovremo fare i conti.
Proseguire senza la consapevolezza di un percorso complesso davanti a noi sarebbe la cosa più sciocca che possiamo fare. Pensare che il debole vento favorevole azionato con il corteo di sabato 16 dicembre da solo sia in grado di gonfiare le vele, sarebbe altrettanto suicida. Ritenere però che la forza sta nei differenti volti delle lotte non è sbagliato. Ma non può essere agito solo sul piano della declamazione di maniera, di un immaginario affascinante ma non concretamente praticabile. Deve essere modello instancabile del lavoro nei territori e “unire le lotte” deve trasformarsi da slogan consunto e maltrattato, in azione sociale politicamente meticcia.
Non crediamo utile la concorrenza come stimolo tra diversi, pensiamo invece necessario un confronto dentro le pratiche e l’agire sociale quotidiano, così da sviluppare energia in una quantità necessaria per innescare processi a catena di deflagrazione sociale contro la cancellazione dei diritti e l’innalzamento di barriere, confini, zone rosse. Senza perdere la capacità vertenziale di ogni singola lotta e la materialità dei risultati che vanno raggiunti.
Dobbiamo capire inoltre come i “diritti senza confini” si conquistano sulla spinta di un movimento che passo dopo passo comprende la sua forza e la muove verso un orizzonte che passi dalla resistenza all’offensiva. Questo vale per le lotte dell’abitare, dove la riappropriazione come pratica sta subendo una legislazione autoritaria funzionale ad una gestione duramente intelligente degli sgomberi e delle nuove occupazioni, come vale per il comparto della logistica, per i braccianti, per chi vive negli Sprar o nei Cas, per chi lavora in nero e cammina in clandestinità, per chi subisce il ricatto del lavoro precario e della disoccupazione. Questi mondi sono talmente connessi che un semplice corto circuito tra loro può innescare un movimento tellurico notevole, e questo può avvenire sia in termini positivi che negativi. Perché la guerra tra poveri è lì che agita i propri artigli velenosi. Gli ultimi contro i penultimi, gli italiani contro i migranti, i giovani contro gli anziani, gli uomini contro le donne.
Questo enorme disagio sociale in qualche modo sabato si è visto. La piccolissima punta di iceberg che non può sovvertire la realtà e nessun apprendista stregone può accreditarsi come guida di questo popolo, ma che ha dentro di se il portato di una mina vagante, più o meno organizzata, che si sta cominciando a muovere, anche in forma disordinata come è avvenuto durante il corteo, ma con la determinazione di chi con dignità da vendere ha alzato la testa e sta guardando negli occhi i propri schiavisti.
Allora se davvero pensiamo “a ognuno il suo” questo è il momento di fare la differenza. Sabato non ci siamo sommati ma ci siamo mischiati, vogliamo continuare a farlo per marciare decisi e con una testa meticcia verso la rottura dei confini nazionali, dei recinti etnici e della schiavitù del lavoro.
CASO PER CASO, CASA PER CASA: 1 DICEMBRE PRESIDIO IN VIA RAMAZZINI
Lo scorso martedì, come donne occupanti delle case siamo ritornate al Dipartimento delle politiche sociali del Comune di Roma per parlare con l’assessora Baldassarre ed esprimere il nostro assoluto dissenso verso le scelte dell’amministrazione comunale in materia di politiche abitative.
Eravamo in tante anche questa volta, insieme nonostante le differenze di condizioni di vita, di origine sociale e culturale, di aspirazioni e tutte poco disposte a considerarci fragili e illegali.
Abbiamo contestato l’approccio per niente discontinuo che questa amministrazione sta mettendo in campo, tutto finalizzato al mantenimento del meccanismo dell’emergenza con grave sperpero di risorse pubbliche, e rappresentato con forza il nostro rifiuto di un’assistenza che infantilizza le donne chiedendo che si mettano in atto politiche abitative strutturali in grado di dare la casa popolare a tutte le aventi diritto.
Abbiamo rappresentato la necessità di un blocco degli sgomberi e degli sfratti e chiesto la cancellazione immediata della determinazione dirigenziale del 23 ottobre che indice una procedura negoziata per il reperimento di strutture di accoglienza temporanea, come le baracche Ikea della Croce Rossa già disponibili in via Ramazzini.
Abbiamo chiesto all’assessora di assumersi le proprie responsabilità e di smettere di spostare l’attenzione dalle questioni concrete, come sta accadendo in questi giorni con la campagna strumentale sugli “scrocconi”: una minoranza esigua all’interno del panorama delle occupazioni abitative Ater. Abbiamo chiesto di smettere di fomentare la guerra tra poveri attraverso gli sgomberi coatti delle case dell’Ater, considerando che spesso coloro che occupano sono in lista e aspettano lo scorrimento delle graduatorie. Abbiamo denunciato la violenza istituzionale sulle donne, rappresentata al tavolo di confronto da due giovani mamme sgomberate da via Quintavalle che vivono da mesi a Santi Apostoli e che lottano per un alloggio dignitoso rifiutando le (non)soluzioni temporanee.
Nonostante il tono colloquiale e disposto all’ascolto di situazioni e istanze che le istituzioni ignorano, rimaniamo basite di fronte al livello poco politico del confronto, tutto schiacciato sui problemi burocratici, le procedure e le regole da rispettare. Ci è stato risposto che bisogna valutare caso per caso per poter dare delle soluzioni ai singoli e alle famiglie e che l’amministrazione sta lavorando su tre livelli: l’accoglienza (con la determinazione dirigenziale), l’assistenza alloggiativa (Sassat) e le politiche abitative, con la mappatura del patrimonio pubblico e dei beni confiscati alle mafie. Ma alla domanda su cosa farà l’amministrazione per dare casa agli sgomberati di Cinecittà e su come si comporterà di fronte a eventuali altri sgomberi la risposta rimane la stessa: in sintesi, nulla se non la presa in carico individuale da parte dei servizi sociali.
Pensiamo che caso per caso, casa per casa andremo a prenderci ciò che ci spetta agli sportelli municipali, all’assessorato, agli uffici territoriali di competenza finchè non sarà comprensibile a questa giunta che per superare la logica dell’emergenza è necessario prevedere le case per tutte e tutti coloro che ne hanno diritto. Caso per caso e casa per casa intaseremo gli uffici con quelle che loro definiscono “fragilità”, rifiutando di essere colpevolizzate perché senza casa, senza reddito, senza possibilità di usufruire di servizi adeguati e gratuiti per i nostri figli. Caso per caso e casa per casa vogliamo reddito e welfare perché non vogliamo più lavorare gratuitamente per questo paese, per compensare a quei servizi di cura e assistenza che lo stato non vuole elargire. Reddito e welfare che ci spetta perché attraverso il nostro lavoro riproduttivo gratuito teniamo in piedi la struttura economica e sociale di questo paese. Quello stesso lavoro non pagato attraverso il quale è possibile sostenere il regime del lavoro gratuito diffuso, quello dei nostri figli nelle scuole, imposto dall’alternanza scuola- lavoro, nelle università fatto di stage e tirocini, quello dei nostri compagni e amici precario e non tutelato, quello di noi stesse sottopagato e sottoposto al disciplinamento tramite molestie.
Ridurre la complessità delle donne che combattono contro la violenza istituzionale e di genere a procedure, regole e tempi burocratici non ci può bastare. La strada è lunga e cammineremo insieme.
Intanto, mentre ieri mattina è stata inviata un’istanza di autotutela alla sindaca Virginia Raggi e alla direttrice del dipartimento politiche sociali Michela Micheli contro la determinazione dirigenziale sui moduli prefabbricati, rilanciamo il presidio del 1 dicembre in via Ramazzini dove il Movimento per il diritto all’abitare si mobiliterà a partire dalle ore 12.
Nelle baracche andateci voi!
#oralecase
Donne e occupanti del movimento per il diritto all’abitare
La giunta Raggi è sorda e irresponsabile: 23 ottobre conferenza stampa davanti all’occupazione di viale del Policlinico
Le immagini e le parole che abbiamo visto e ascoltato dentro l’aula consiliare del Palazzo Senatorio hanno chiarito in maniera inequivocabile il disprezzo e la distanza tra chi governa la città e chi vive un’emergenza abitativa senza soluzioni.
L’arroganza e la violenza con cui i consiglieri pentastellati si sono scagliati contro la delegazione dei movimenti per l’abitare presenti in aula, dopo aver rifiutato la richiesta d’incontro con i capigruppo e la possibilità di prendere parola durante il consiglio straordinario di martedì 17 ottobre, la dice lunga di come il confronto sia lontano e come le ragioni rappresentate da chi una casa non ce l’ha non siano comprese dalla maggioranza capitolina.
Eppure la composizione vasta di chi sostiene la necessità di misure urgenti per fronteggiare sfratti, sgomberi e pignoramenti, nonché per affrontare una graduatoria con quasi quindicimila famiglie in attesa e risolvere con una soluzione vera la presenza ancora numerosa nei centri di assistenza abitativa temporanea (CAAT), dovrebbe condurre la sindaca e la sua giunta ad una maggiore attenzione. E non risolvere con furore ideologico una questione che rischia ogni giorno di più di trasformarsi in un problema di ordine pubblico.
Sembra quasi che ciò che è avvenuto a piazza Indipendenza sia già dimenticato e le famiglie accampate nel porticato della basilica dei XII apostoli non rappresentino un problema da affrontare urgentemente, con l’inverno alle porte. Anche gli articoli di giornale che insistono quasi quotidianamente su diverse occupazioni abitative non sembrano destare preoccupazioni tanto nella Giunta quanto nella Maggioranza di Virginia Raggi.
La visita della commissione stabili pericolanti presso le occupazioni di viale del Policlinico e di via Carlo Felice, con le possibili accelerazioni verso nuovi sgomberi, poteva e doveva essere affrontata con maggiore serietà utilizzando anche il consiglio straordinario e istruendo un percorso dove tutti i soggetti interessati potevano concorrere a soluzioni non cruente. Invece si è scelta la contrapposizione e la sfida.
Quindi non percepiamo solo sordità da parte dell’amministrazione capitolina ma anche una notevole dose di irresponsabilità e di incapacità di proporre soluzioni che non siano la guerra tra poveri e il rilancio del mercato immobiliare. Irresponsabilità che poi si cercherà, con un capovolgimento della realtà, di scaricare sui movimenti per l’abitare come è già stato fatto per piazza Indipendenza e via Quintavalle a Cinecittà.
Riteniamo giunto il momento che l’intera città prenda coscienza di questo e si mobiliti per impedire che questioni primarie come il diritto alla casa siano affrontate solo con sgomberi e rappresaglie, con minacce e intimidazioni, sempre in difesa della piccola e grande proprietà come è avvenuto con l’ultima delibera che esprime la disponibilità del Comune a sobbarcarsi canoni a prezzo di mercato per chi offrirà alloggi in affitto da mettere a disposizione di chi accetterà il bonus comunale. Non basta stigmatizzare l’operato della sindaca e della sua maggioranza, non è sufficiente solo resistere e barricarsi, ma è arrivato il momento di rilanciare un percorso di lotta ampio, capace di reclamare con decisione un’inversione di rotta nei confronti di chi governa questa città.
Lunedì 23 ottobre ore 12 conferenza stampa
davanti allo stabile occupato di viale del Policlinico 137
#stopsgomberi #oralecase
Movimento per il diritto all’abitare
Dall’assemblea dell’8 ottobre a piazza Esquilino: #16D manifestazione nazionale a Roma
Domenica 8 ottobre numerose realtà di movimento provenienti da tutta Italia si sono incontrate in piazza dell’Esquilino a Roma per un’assemblea nazionale nata dall’esigenza di discutere e mettere in connessione quanto sta accadendo nei territori sui temi della sicurezza e della guerra contro i poveri.
Questioni che nel laboratorio repressivo romano hanno avuto una precipitazione nell’estate di sgomberi e arresti contro chi ha resistito alla brutalità di politiche incentrate sulla legalità e il decoro, portate avanti dal governo e sostenute dall’amministrazione capitolina a 5 stelle.
Un’assemblea che, a pochi passi dal ministero dell’interno, ha denunciato l’imposizione della zona rossa di Piazza Indipendenza vietata tassativamente a ogni manifestazione pubblica per il suo valore simbolico e politico come luogo di resistenza e disvelamento della violenza della gestione securitaria e autoritaria dei territori sui corpi di migranti e dei poveri.
Durante il confronto, che ha visto numerosi interventi da diverse città, è emersa la necessità di costruire un percorso comune in grado di invertire una rotta che vede la cancellazione sistematica dei diritti e di fermare chi sta alimentando la guerra tra e contro i poveri, rincorrendo i contenuti della destra più becera e xenofoba, tagliando risorse destinate al sociale e frenando di fronte a provvedimenti di buon senso (per quanto temperati) come lo ius soli.
Tutti gli interventi hanno accolto e rilanciato l’appello degli ex abitanti di via Curtatone e di via Quintavalle alla costruzione di una mobilitazione nazionale per dicembre a Roma, che riesca a coagulare gli sforzi fatti nei territori per iniziare ad articolare un percorso comune che parli le lingue delle lotte e dei diritti contro la retorica della sicurezza urbana e del degrado.
Dalle battaglie territoriali contro l’articolo 5 e gli sgomberi, passando per i percorsi solidali con chi sfida le frontiere e i confini da Ventimiglia alla Sicilia, l’assemblea è stata chiara nell’individuare i responsabili politici della gestione autoritaria delle questioni sociali, assumendo la data di dicembre come punto di partenza di un percorso nazionale in grado di contrastare la gestione del potere e delle risorse urbane, dalle colate di cemento ai business articolati sui corpi delle varie “emergenze”.
Vista la pluralità delle poste in gioco, l’assemblea ha ripetutamente sottolineato la necessità di non dare per scontata alcuna facile alchimia o sommatoria, al fine di costruire una mobilitazione genuinamente sociale intorno ai temi della casa, del reddito e della giustizia sociale, in grado di accogliere le istanze provenienti dai diversi percorsi di lotta e articolata tramite passaggi da immaginare e costruire collettivamente.
Infine, la recrudescenza degli strumenti repressivi e delle misure di prevenzione (come l’estensione della sorveglianza speciale proposta per Paolo e Luca, e che ha visto le realtà romane mobilitarsi il 9 ottobre sotto il tribunale di piazzale Clodio) ha chiarito come la guerra ai poveri e alla libertà di movimento si intrecci ineluttabilmente con la repressione della libertà di dissenso e dell’agibilità politica degli attivisti e delle attiviste bollati come socialmente pericolosi.
L’assemblea si è chiusa assumendo la data del 21 ottobre a Napoli contro il G7 dei ministri dell’interno, che si terrà a Ischia, come punto di partenza e rilancio di un percorso il più possibile condiviso e tutto da costruire, verso un autunno e una primavera che si annunciano ad alta intensità di conflitto.
Dopo un confronto con le reti di movimento proseguito oltre l’assemblea dell’8 ottobre, la data della mobilitazione nazionale, inizialmente individuata per il 2, è stata decisa per sabato 16 dicembre.
Movimento per il diritto all’abitare romano- Assemblea dei rifugiati sgomberati da via Curtatone